LA DISASTROSA
FINE
DELL’INVINCIBILE
ARMADA
a
cura di
Michele E. Puglia
Il presente articolo è collegato con
“L’Inghilterra dai Tudor agli Stuart”
L |
a
fede cattolica spingeva Filippo a estenderla all’Inghilterra, divenuta il
centro più ardente del protestantesimo e il più sicuro punto d’appoggio della
rivolta nel resto d’Europa. Il suo intento
era quindi di acquistare un nuovo trono, punire Elisabetta per le
aggressioni che per tanto tempo si era permessa (finanziando i protestanti
degli altri Stati) e domare la ribellione delle Province-Unite, per
l’assoggattamento all’Inghilterra.
Maria
Stuarda, prima di morire (1587), aveva scritto al suo ambasciatore Bernardino
Mendoza una lettera in cui diceva: “Considerando l’ostinazione di mio figlio
nell’eresia (per la quale, vi assicuro ho pianto e lamentato notte e giorno, al
di sopra di ogni mia calamità), e prevedendo un danno eminente che sta per
arrivare alla Chiesa cattolica, relativamente alla successione di questo regno,
ho preso la deliberazione, nel caso mio figlio non si converta, prima della mia
morte, di cedere e donare il mio diritto e la detta successione, al detto
signor re, vostro capo, pregandolo di prendermi da ora in avanti, sotto la sua
intera protezione, parallelamente allo stato e agli affari del paese”. Poi
aggiungeva che agiva per dovere della sua coscienza e per la restaurazione,
nell’isola, delle fede cattolica, relativamente alla quale riteneva il principe,
il più zelante e capace di ristabilirla, aggiungendo: “Mi sento più obbligata a far rispettare il bene universale della Chiesa,
piuttosto che la grandezza della mia posterità. Vi prego di tenere ciò in
stretto segreto in quanto, se rivelato, comporterà la perdita, in Francia della
mia dote e in Scozia la rottura con mio figlio e nel paese la mia totale rovina
e distruzione”.
A
sua volta, don Bernardino scriveva
subito a Filippo (1587) che “Dio aveva
permesso che questa maledetta nazione, cadesse nelle sue mani per salvarla dall’eresia
ed è chiaro che ha voluto dare a Vostra Maestà queste due corone in tutta
proprietà”. Il vescovo di Ross aveva scritto in francese, latino e inglese,
uno scritto, per provare che Filippo II fosse l’erede legittimo del trono
d’Inghilterra, mentre il re di Scozia era colpito da incapacità per la sua
eresia.
Erano
questi i presupposti fatti valere da Filippo II per la conquista
dell’Inghilterra e della Scozia per la quale aveva già cominciato a pensare dal
1570 quando Maria progettava l’invasione dell’Inghilterra (v. Art. L’Inghilterra
ecc, II. P.) e nel 1583, disponendo delle navi della marina italiana,
portoghese e spagnola, il monarca, al quale obbedivano i più agguerriti soldati
d’Europa e disponeva dei tesori che arrivavano dal nuovo mondo, sembrava avesse tutti i mezzi per questa nuova conquista.
Luogo
di raccolta delle navi che sarebbero giunte dalla Sicilia, Napoli, Catalogna,
Andalusia, Galizia, Biscaglia, con i loro abili e intrepidi marinai che
avrebbero costituito “l’Invincibile
Armada”, era stata fissata per la primavera del 1588, a Lisbona.
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C |
omposta
da 135 vascelli di diverse dimensioni tra caravelle, orche, zabra, galere, che
costituivano naviglio ordinario del tempo, sia a vela sia a remi e contava un
certo numero di galeoni e quattro galeazze di dimensioni enormi: mentre i
galeoni erano di forma rotonda, le galeazze erano vascelli piatti giganteschi
con castelli fortificati e diversi piani di artiglieria.
La
flotta contava ottomila uomini di equipaggio e imbarcava ventimila uomini da
sbarco carichi di armi e munizioni di ogni genere, con viveri per sei mesi e
trasportava per la conversione dell’isola, un vicario generale del Sant’Ufficio
che aveva un seguito di cento gesuiti e altri religiosi dell’Ordine dei
mendicanti, posti sotto il comando del marchese di Santa Cruz.
A
vederla la flotta era uno spettacolo e destava terrore e ammirazione con i
grandi alberi, le vele spiegate, le elevate prue delle galere; ma avanzavano
lentamente come se l’Oceano gemesse a sopportarne il peso e il vento facesse fatica
a muovere questa massa enorme: il problema era che la massa enorme di questi
massicci vascelli non si poteva facilmente governare; gli inglesi che sapevano
bene che questo naviglio era ordinariamente poco comodo da governare e
trasportava un numero enorme di soldati, risolsero il problema prendendolo a
cannonate a distanza.
Il
risultato di tutto questo spiegamento di navi e l'uso del cannoneggiamento che
ne era derivato, sparando centomila palle di cannone, per gli inglesi, era
stato spaventosamente ridotto e aveva comportato la morte del solo capitano
Coxe, della vedetta Delight e di una quarantina di marinai (Storia, Cambridge
Institute).
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Nel
frattempo il duca di Parma, Alessandro Farnese (1545-1592), valente capitano, nominato capo della spedizione che doveva
invadere l’Inghilterra, raccoglieva le sue forze non meno considerevoli sulle
coste delle Fiandre.
Oltre
alle truppe che aveva nelle sue guarnigioni e drappelli, gli giunsero dal nord
e centro Italia cinquemila uomini e quattromila dal regno di Napoli, seimila
dalla Castiglia, tremila dall’Aragona, tremila dall’Austria con quattro
squadroni di cavalieri (reitres) e altrettanti
dalla Franca-Contea e dai Valloni.
Farnese aveva ordinato l'abbattimento della foresta di Waës, per la
costruzione di battelli piatti, che scendendo dalle riviere e dai canali di Newport
e Dunquerque, dovevano trasportare trentamila uomini alle bocche del Tamigi,
sotto la scorta dell'armada spagnola.
Equipaggi
d'artiglieria, fascine, strumenti d'assedio e materiale per alzare ponti, erigere
campeggi, elevare fortezze, dovevano trovar posto nella flotta del duca di
Parma, che, mentre stava preparando l'invasione dell'Inghilterra, proseguiva nella
conquista dei Paesi Bassi.
La
sua idea era quella di far continuare al conte di Mansefeldt la conquista dei Paesi Bassi, mentre lui, alla testa di
50mila uomini avrebbe invaso l'Inghilterra.
Questa
impres,a Filippo, l’aveva concertata con il papa Ssto V, che aveva promesso di
cooperare concedendogli, quando le truppe fossero arrivate sulle coste
britanniche, un milione di ducati; il papa inoltre, aveva già preparato la
bolla di un anatema, contro Elisabetta
che, per il momento, doveva rimanere segreta, (la precedente scomunica era
stata quella del papa Gregorio XIII), con cui spossessava la regina dal trono; Filippo gli aveva chiesto
anche la nomina di un legato per l’Inghilterra e il papa aveva nominato
cardinale il dottor Allen, direttore del seminario inglese di Reims, capo
dell’emigrazione cattolica.
Avuta
la nomina, il cardinale Allen, preparava un manifesto fulminante con cui
proclamava l'indegnità della nascita della principessa, l'audacia dell'eresia,
la furbizia del suo carattere, la dissoluzione dei suoi costumi, la crudeltà
dei suoi atti; le copie di questo atto dovevano essere diffuse a profusione
all’arrivo dell’armada, in modo da
spingere il popolo a far cadere la regina.
Ma
il Padreterno per tutte queste ingiustizie e soprusi dei papisti, aveva predisposto le cose diversamente, facendo arrivare
una bella tempesta che aveva fatto saltare tutti questi giganteschi
preparativi, spazzando via l’orgogliosa Armada!
(è così che andava in fumo tutto l’oro proveniente dalle Americhe! (v. Art. Carlo
V tra Rinascimento ecc.. P. II).
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N |
ella
primavera del 1587, mentre la flotta spagnola si riuniva alle foci del Tago,
Elisabetta aveva mandato Drake a sorvegliare le coste della penisola;
l'intrepido Drake ne approfittava per recarsi nella baia di Cadice e di Lisbona
per compiere dei saccheggi.
L'ammiraglio
Santa Cruz e Alessandro Farnese, avevano suggerito di assicurare un grande porto sulle coste
dell'Olanda e della Zelanda per riparo delle navi, nel caso in cui, dopo essere
entrate nella Manica, avessero dovuto affrontare delle tempeste e di là far
vela, senza ostacoli, per l'Inghilterra. Ma Filippo non aveva adottato nessuna
di queste prudenti misure; questo monarca per i suoi sospetti, incertezze e temporeggiamenti rovinava i suoi stessi
grandi progetti.
Elisabetta
presa alla sprovvista, malgrado i suggerimenti di Walsingam e Leicester,
sacrificava la sua avarizia alla sua sicurezza; nel momento in cui l'armada prendeva il mare, la sua flotta
non era ancora formata e neanche un uomo si era levato in armi sul suolo inglese.
Fortunatamente,
una prima tempesta era arrivata in soccorso degli inglesi, all'altezza di
Finistère; l'uragano disperse la flotta e la costrinse a rientrare malmessa nei
porti di Biscaglia e Galizia, per cui la sua partenza era rinviata alla primavera successiva
(1588).
Il
comando dell’armada era stato inizialmente
affidato al marchese di Santa Cruz e Filippo deluso per questo ritardo lo aveva
ripreso dicendogli che ricambiava molto male la benevolenza che gli aveva
concesso; Santa Cruz moriva, affranto
dalla fatica e dal dispiacere; anche il vice ammiraglio, duca Colonna di Paliano
si era ammalato e Filippo nominava Alonzo Perez de Gusman, duca di Medina
Sidonia, uno dei più grandi signori di Spagna, ma poco adatto a condurre simile
impresa, anche se aveva come luogotenenti due marinai di grande esperienza,
Juan Martinez de Recalde di Biscaglia e Miguel Ocquemado di Guypuscoa.
Elisabetta
dal suo canto si rendeva conto di tutto il pericolo dell’invasione che stava
correndo e faceva radunare tutti gli uomini abili a portare le armi da 18 a 60 anni
e ne furono raccolti 34mila di fanteria, milllenovecento14 di cavalleria, con
36 pezzi d'artiglieria di diverso calibro; il comando per la difesa della sua
persona fu dato a Hundson e i cattolici più sospetti furono relegati nell'isola
d'Ely e all’interno del regno.
Le
armate di Leicester e Hundson erano convocate per il 28 giugno la prima, e 23 luglio la
seconda, troppo tardi per affrontare le bande spagnole ma la fortuna assisteva
la marina inglese.
I
vascelli messi a disposizione dalla città di Londra erano trentotto, e in
totale l’armata inglese raggiungeva centonovantanove navi, anche se di piccole
dimensioni, che portavano quindicimila duecentosettntadue uomini e la flotta
risultava leggera; le navi più grandi al comando di Drake, Forbischer, Winter e
Hawkins e tanti altri arditi marinai che si erano segnalati nei mari contro gli
spagnoli; il comando era assegnato all’ammiraglio
Howard d'Effingham, con Francis Drake luogotenente.
La
flotta si era concentrata, parte a Plymouth e un'altra parte condotta da Henry
Seymour e Winter era andata a sistemarsi al Passo di Calais, per impedire al
duca di Parma di riunirsi all'Armada
di Medina-Sidonia.
Questa
aveva spiegato le vele il 20 luglio con
un cielo limpido e il mare tranquillo; essa aveva settemilacinquecento marinai
che la manovravano, trasportando diciannovemila soldati e i religiosi che
dovevamo convertire l'Inghilterra. Le navi dell'armada dopo aver superato la punta della Bretagna, avevano
suscitato sorpresa e ammirazione, giungendo di fronte ai vascelli inglesi, che aspettavano a Plymouth.
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uperiore
per forze e favorita dal vento che soffiava da sud, poteva distruggere Howard e
Drake in un sol colpo e invertire la ruota che favoriva l'Inghilterra. Ciò che
chiedevano i capitani spagnoli. Ma il duca di
Medina-Sidonia li aveva ripresi, mostrando l'ordine del re che vietava di
combattere fino a quando non fossero arrivate le truppe del principe Farnese,
che doveva condurre le truppe sui bordi del Tamigi.
Don
Juan de Recalde aveva suggerito che attaccando, potevano riportare la vittoria
e avrebbero servito il re disobbedendogli; ma il timido duca Sidonia, fece il
grave errore di riprendere la sua marcia verso le Fiandre.
Furono
le due volpi di Howard e Drake a seguire l'Armada
e formando una mezzaluna, e avanzando lentamente con i loro agili vascelli; con
la conoscenza del canale e col vento favorevole, essi attaccavano la
retroguardia di fronte all'isola di Wight, inseguendola e danneggiandola fino
all'altezza di Calais, tra Dunquerque e Newport, dove furono gettate le ancore
e dove sembrava esser giunta al termine dell'impresa.
Nel
frattempo il principe di Parma aveva tutto disposto per unirsi all’armada; il 7 e l’8 agosto aveva imbarcato
quattordicimila uomini a Newport e si stava dirigendo a Dunquerque per imbarcare
il resto.
Il
duca di Medina-Sidonia si preparava a raggiungerlo e a scortare i vascelli
piatti fino alle bocche del Tamigi; ma Drake non gliene lasciò il tempo; con la
sua ardente ostinazione non aveva cessato di inseguire l’armada, standole nelle vicinanze; gli elementi gli vennero in aiuto.
Nella
notte tra l'8 e il 9, il cielo si coprì annunciando una tempesta; Drake prese otto piccole navi, le più malmesse
della sua flotta e riempiendole di salnitro, bitume e altri combustibili, nella
oscurità, le fece condurre nelle vicinanze della navi spagnole; a una
certa distanza diede fuoco e le otto brulotte, illuminate dal fuoco, avanzarono sull'armada.
Presi
da spavento gli spagnoli levarono le ancore e tagliando le gomene, fuggendo
dalla costa, si diressero precipitosamente verso l'alto mare; si erano
sottratti all'incendio, ma erano andati
incontro alla tempesta.
Si
era levato un vento che soffiava con furore; spinta dall’uragano, la flotta
spagnola, che inseguiva ancora la flotta inglese, cannoneggiandola, fu spinta
verso la riva tra Calais e le bocche dell’Esaìcaut, dove si erano arenati
diversi galeoni e una delle quattro grandi galeazze. L’armada aveva già perso quindici vascelli che portavano quattromila
ottocento uomini e non poteva sottrarsi a una così grave perdita che le
riservava questo pericoloso canale.
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E |
ra
la fine. Per sottrarsi, Medina
Sidonia si era spinto a tentare una nuova rotta, dirigendosi a Nord, facendo il
giro dell’Inghilterra, costeggiando la
Scozia, l'Irlanda per poi scendere attraverso l’oceano a la Coruna; mancava
l'acqua e per risparmiare quella che c'era, furono buttati in mare muli e
cavalli; i soldati morivano per il cibo e l'acqua avariati; diciassette navi andarono
perdute lungo la sola costa irlandese.
La
regina trionfava con il coraggio che aveva saputo infondere a tutto il regno; si
era recata al campo di Tilbury, per mettersi a capo delle truppe e infondere
loro coraggio, suscitando entusiasmo con queste parole, che sono state tramandate:
“Ci è stato riferito da persone addette
alla nostra sicurezza, di stare attent,i che confidando in una moltitudine
armata, ci saremmo esposti a qualche perfidia; ma vi assicuro che non desidero
vivere se mi venisse a mancare l’amore e
la fedeltà del mio popolo. E’ il tiranno che deve tremare; io mi sono sempre
condotta su questo principio, che in Dio
devo trovare la mia più grande forza e il riparo più sicuro nell’affetto e
nella lealtà del mio popolo. Vengo da voi oggi non per divertirmi come a una
festa, ma con la decisione di vivere o
morire e di spandere fino all’ultima goccia il mio sangue per Dio, per il mio
regno, il mio popolo. Io non penso che con indignazione che Parma, la
Spagna o qualche potenza dell’Europa che
sia, voglia impadronirsi delle frontiere dei miei stati. Prima che un simile
affronto mi venga fatto, mi armerei io stessa marciando alla vostra testa,
giudicando il vostro valore e ricompensando tutte le azioni che le segnaleranno
sul campo di battaglia. Io già so,
perché lo sento, che voi queste ricompense le avete meritate; e vi do la mia
parola reale, che le riceverete. In questo intervallo, il mio luogotenente
generale terrà il mio posto e mai un principe ha avuto ai suoi ordini persona
di un così gran merito. Mi attendo la vostra obbedienza al vostro capo, della vostra
intelligenza nel campo, della vostra bravura nel combattimento, una pronta e
gloriosa vittoria sul nemico del mio Dio, del mio regno e del mio popolo.”
Queste
parole furono accolte con entusiasmo.
Il popolo, pieno di riconoscenza e ammirazione l’onorava come sua liberatrice e
credette di esserle debitore della salvezza della sua indipendenza e della
sicurezza della sua religione.
Filippo,
quando gli fu riferita la rovina dell’armada,
stava scrivendo una lettera e apprese la notizia con la tranquilla fierezza del monarca più potente dell’Europa; il
suo commento fu: ”Rendo grazie a Dio di
avermi dato il modo di sopportare senza imbarazzo una simile perdita e di
essere in condizione di mettere in mare una flotta così grande. L’acqua che
cola si può perdere se la fonte non è arida”; dopodiché riprese la penna e
continuò pacificamente a scrivere (Mignet, Histoire
de Marie Stuart, Paris, 1851).
FINE